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Temas medievales

versión impresa ISSN 0327-5094

Temas mediev. vol.19 no.1 Buenos Aires jun. 2011

 

RAZÓN Y PASIÓN EN LA EDAD MEDIA

Le emozioni e il sacramento Della Penitenza*

La emoción y el sacramento de la penitencia

L'émotion et le sacrament de la pénitence

 

Carla Casagrande

(Università di Pavi a - Italia)

 

"Niente ti deve emozionare quanto la mancanza di emozioni. Niente devi temere di più della mancanza del timore, e di niente ti devi vergognare come dell'impudenza, la mancanza di pudore, della quale nulla esiste di più turpe. Allo stesso modo non ti devi addolo-rare di niente più che del torpore della mente, dell'insensibilità delle membra spirituali poiché non c'è nulla di più mortale e più contrario della restaurazione dei beni spirituali perduti. Così pure nulla ti deve adirare più della mancanza di ira [...] e la stessa cosa si potreb-be dire a proposito di tutti gli altri affetti".

 


El artículo toma un texto de Guillaume d'Auvergne para presentar el problema de la amplia gama de emociones humanas en general aunque sean fundamentales las reflexiones sobre la naturaleza y función del dolor. Tales emociones han suscitado un debate sobre los conceptos de conciencia, fuero interno, individuo.
Los materiales relativos al tema permitieron dividir el trabajo en tres partes: el sentido de la contrición, el tema de los impedimenta poenitentiae y, por fin, el orden de los pecados.
La contrición como acto racional y voluntario, acto de racionalidad y de sensibilidad ha sido tratada por diversos autores que, de tal manera, han ofrecido enfoques diferentes. La contrición que logra su eficacia merced a la gracia y que cuenta necesariamente con la memoria, que lleva al examen de de los conceptos de continuitas o duratio. En suma, la contrición comporta un intenso examen psicológico al presentar una sucesión de afectos de amplio espectro. En el segundo apartado se estudian los impedimenta poenitentia, pasiones tales como la vergüenza, el temor, la esperanza y la desesperación, que pueden tener valores opuestos y, en este caso, actuar de manera negativa en el proceso penitencial.
El tercer núcleo se interesa por las pasiones y el orden de los pecados, considerando las emociones como criterio para individualizar y clasificar las culpas. Obra fundamental en este esfuerzo de clasificación es el Specchio de'peccati de Domenico Cavalca, en que dicha clasificación se expresa de manera detallada y articulada subrayando su dinámica riqueza psicológica.
En general, el interés por la psicología del pecado aparece más en la literatura teológica que en la obra pastoral. Interés muy importante si tenemos en cuenta la obligación de comunión anual, aun cuando no todos los fieles estuviesen capacitados para ese examen de los movimientos espirituales. Interés que ha llegado a constituir un patrimonio de la cultura occidental y a expresarse tanto en medios religiosos como enámbitos laicos.

PALABRAS CLAVE: Sacramentos; Penitencia; Pecado; Pasiones


 

Questo invito appassionato a non fare a meno delle passioni si trova nel De sacramento poenitentiae del vescovo parigino Guglielmo d'Auvergne, un testo portato a termine nel 12281.

Guglielmo è particolarmente attento alla dimensione passio-nale della penitenza, tuttavia il suo invito a fare uso di tutta l'ampia gamma delle emozioni umane va collocato all'interno di una più generale e condivisa consapevolezza dell'importanza delle dinamiche affettive nella penitenza che si esprime innanzitutto in una serie di riflessioni sulla natura e sulla funzione del dolore, la passione penitenziale per eccellenza, ma che non ignora il ruolo delle altre emozioni. Questa attenzione all'affettività, che emerge dai testi, chiama in causa il tema dell'interiorità della penitenza, tema complesso, da sempre al centro degli interessi degli studiosi, sul quale convergono gran parte dei problemi teologici e storici che lo studio della penitenza mette in campo, dalla definizione dei poteri sacerdotali alla costruzione dei concetti di coscienza, foro interno, individuo; in questi ultimi due decenni, in particolare, su questo tema si è svolto un dibattito che ha visto alcuni studiosi rivedere la tradizionale tesi di un'emergenza dell'interiorità legata all'istituzione del sacramento della penitenza tra XII e XIII secolo2.

Un utile contributo a questa riflessione critica può forse venire dalle analisi che i testi per la penitenza fanno sulle dinamiche affettive messe in atto nel momento dell'individuazione e della remissione della colpa, analisi che consentono di ricostruire natura, consistenza, funzioni e confini di uno spazio interiore variamente declinato in termini di cuore, anima o coscienza3.

In questa prospettiva, senza tuttavia pretendere di dare una risposta netta e definitiva, questo articolo si propone di verificare se, in che misura e con quali contenuti, sia presente nei testi per la penitenza compresi tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIV una riflessione sulla natura e sull'uso delle emozioni che consenta di dire che la penitenza è stata, o quanto meno ha cercato di essere, per le donne e gli uomini della cristianità medievale, un'occasione e uno strumento di educazione sentimentale. La grande quantità di opere scritte per la penitenza in quel periodo impone, nello spazio limitato di un articolo, di fare riferimento a un numero limitato di testi che sono stati scelti tra i più significativi e rappresentativi dei vari generi letterari che compongono la letteratura penitenzia-le, trattati sul sacramento, commenti al IV libro delle Sentenze, e, su un versante più operativo, somme di penitenza, manuali per confessori, istruzioni per penitenti.

I materiali che i testi per la penitenza presentano sul tema delle emozioni possono essere divisi in tre nuclei temati-ci: il primo è costituito dalle riflessioni sul dolore penitenziale, la contritio, là dove ci si interroga su natura, intensità, effica-cia di questo particolare dolore e sulla dinamica emozionale che comporta; il secondo consiste nel tema degli impedimenta poenitentiae, che sono in larga parte, come si vedrà, identificati con alcune emozioni; il terzo infine riguarda il problema dell'ordine dei peccati, nella misura in cui le emozioni diventano in alcuni casi criterio per l'individuazione e la classifica-zione delle colpe.

Ages", in A New History of Penance, pp. 201-218 (sulle manifestazioni esteriori del dolore). Segnalo anche la tesi di dottorato di Na'ama COHEN-HANEGBI, Accidents of the Soul: Physicians and Confessors on the Conception and Treatment of Emotions in Italy and Spain, Late 12th-15th Centuries, condotta sotto la direzione di Esther Cohen e Joseph Ziegler, Hebrew University, 2011, della quale sono venuta a conoscenza quando questo articolo era ormai terminato e della quale dunque non ho potuto tenere conto.

La contrizione

Il primo nucleo tematico, quello che ruota attorno al concetto di contritio, il dolore capace di spezzare, triturare, ridurre in polvere i peccati4, è sicuramente il più importante. Da quando Abelardo, nella prima metà del secolo XII, aveva di fatto identificato remissione dei peccati e contrizione del cuore, le analisi su natura, origini, intensità, effetti di questo movimento del cuore così potente da cancellare i peccati si sono moltiplicate; e accanto ad esse anche quelle sugli altri mo-vimenti del cuore che quel dolore innesca e mette in campo, il timore, l'amore, l'odio, la speranza, la gioia, il pudore. Analisi che proseguono anche quando il contrizionismo abelardiano viene abbandonato a favore di una concezione progressiva del-la penitenza, secondo la quale contritio, confessio e satisfactio costituiscono una sequenza necessaria ai fini della completa remissione dei peccati. All'ordine del giorno restano infatti, per tutto il secolo XIII e anche oltre, la tipologia delle diverse passioni implicate nell'atto penitenziale; l'intensità e la visibi-lità di questi movimenti passionali, e in particolare del dolore; l'intervento che volontà e ragione, da un lato, e grazia, dall'al-tro, sono chiamati a svolgere su questo complesso movimento passionale. La penitenza diventa insomma un luogo privile-giato dell'analisi e anche della 'politica' dell'affettività, una specie di laboratorio nel quale è possibile verificare geometrie, dinamiche e manifestazioni delle passioni imparando nelle stesso tempo a governarle in vista di un fine, che in questo caso coincide con il bene sommo della salvezza.

All'origine e al centro di questo interesse per l'affettività penitenziale sta la contrizione che appare come una forma particolare di dolore non solo perché rivolta a un oggetto particolare, i peccati, ma anche perché caratterizzata dalla presenza determinante della volontà e della ragione. Di più, la contrizione è un particolare dolore che consiste in un atto della volontà fondato su un atto cognitivo e cioè la conoscenza, garantita dalla fede, della misericordia divina. Un dolore dunque razionale e volontario, un atto che investe nello stesso momento la razionalità e la sensibilità, una specie di ossimo-ro psicologico perché contemporaneamente azione (in quanto atto di volontà e ragione) e passione (in quanto dolore). Nei testi sulla penitenza questo doppio statuto psicologico della contrizione è assunto in partenza come testimoniano le somme di penitenza che definiscono la contrizione "dolor pro peccatis assumptus cum proposito confitendi et satisfaciendi" mettendone così in luce sia la componente passionale (la contrizione è prima di tutto 'dolore') sia l'intervento della volontà (dolore assunto, scelto, voluto per uno scopo preciso) 5.

Il problema della doppia natura psicologica della contritio è affrontato con analiticità nei testi teologici (i commenti alle Sentenze, le somme teologiche) con gli strumenti di un sapere psicologico che, tra XII e XIII secolo, si è fatto particolarmente ricco e raffinato, grazie agli apporti venuti dalle culture greca, bizantina e araba. Forti di una articolata mappa delle facoltà dell'anima, i teologi distinguono nella contrizione due tipi di dolore, un dolore spirituale (razionale, volontario, in-tellettuale), che attiene alle facoltà superiori dell'anima e che si configura come un atto di rifiuto del male da parte della volontà informata dalla ragione, displicentia voluntatis o dis-sensus voluntatis, a seconda che si voglia usare la definizione di Tommaso o di Bonaventura e un dolore sensibile, indotto dal dolore volontario nelle facoltà inferiori, quelle che hanno a che fare con la sensibilità, che è propriamente una passione6. La distinzione tra dolore spirituale e dolore sensibile fa la sua comparsa nei testi dei teologi dei primi decenni del secolo XIII7 per essere poi, variamente approfondita e precisata, condivisa anche in seguito; come pure è condivisa l'idea che tra i due dolori spetti al dolore spirituale, quello della volontà, il ruo-lo decisivo (e dunque anche il merito) nella remissione della colpa: il dolore volontario costituisce infatti, come sostengono all'unisono Tommaso e Bonaventura, l'essenza della contrizio-ne: non si dà cioè contrizione senza intervento della volontà.

Dolore volontario, la contrizione ha però anche altre carat-teristiche. È un dolore universale, riguarda cioè tutti peccati commessi, dolor de universis et de singulis, come per esempio esige dal suo penitente il confessore messo in scena nel Liber Poenitentialis di Roberto di Flamborough8. È un dolore continuo: "il penitente, che mai avrebbe dovuto peccare, si dolga sempre di aver peccato", raccomanda la Summa confessorum di Tommaso di Chobham e, se non si addolora abbastanza "si dolga per fede e si dolga di non essersi sempre addolorato", come scrive l'influente pseudo agostiniano De vera et falsa poenitentia9. È un dolore particolarmente intenso, "acuto, più acuto, acutissimo" (acer, acrior, acerrimus), un dolore cioè capace di attraversare tutti i gradi dell'intensità di una pas-sione, come specifica Raimondo di Peñafort10. È un dolore che deriva da affetti e produce a sua volta affetti, è cioè inserito in una dinamica affettiva complessa che comincia con il timore, passa per la speranza e l'amore e si conclude nella gioia. È un dolore che conosce una fase iniziale e preparatoria in cui tutte queste caratteristiche non sono ancora perfettamente realiz-zate, una fase in cui prende il nome di 'attrizione' perché non ancora capace di triturare, polverizzare e cancellare i peccati ma solo di strofinarli, logorarli, spezzarli in grossi pezzi11; tra attrizione e contrizione, come spiega con una serie inarresta-bile di metafore Guglielmo d'Auvergne, c'è la stessa differenza che c'è tra ferire e uccidere, scaldare e bruciare, illuminare e irraggiare, preparare il terreno e seminare, ammorbidire la cera e imprimervi il sigillo, sciogliere i metalli e modellarli, pulire uno specchio e specchiarsi12. E infine, la contrizione è un dolore nel quale interviene la grazia. Un dolore che deve la sua efficacia non solo a tutte le condizioni psicologiche fin qui enumerate ma anche e soprattutto alla grazia che agisce secondo forme e modalità che tra XII e XV secolo sono state oggetto di analisi e anche di discussione tra i teologi, spesso proprio in relazione a quella distinzione tra attrizione e con-trizione appena richiamata. Analisi e discussioni che però, per quanto è possibile, vorrei in questa sede lasciare sullo sfondo, per concentrare la mia attenzione sulle dinamiche strettamen-te psicologiche della penitenza.

Vediamo dunque come sono state analizzate dal punto di vista psicologico le caratteristiche della contrizione. Sono stati i teologi ad assumersi questo compito e lo hanno fatto usando varie distinzioni, tra cui la più importante è sicuramente quel-la tra dolore razionale e sensibile che abbiamo appena visto e che si rivela particolarmente efficace non solo per spiegare la complessità del dolore penitenziale ma anche per risolvere alcuni problemi di sostenibilità psicologica che un dolore che si vuole universale, continuo e per di più intensissimo non poteva non porre. Non è qui possibile seguire le articolate analisi dei teologi a questo riguardo. Mi limito, rapidamente, a ricordare l'importanza del ruolo riconosciuto alla memoria senza la qua-le il dolore della contrizione non potrebbe estendersi ai peccati compiuti nel passato e dunque essere universale13; ricordo ancora più rapidamente il problema della continuitas o duratio della contrizione, che può essere nello stesso tempo un movi-mento istantaneo e successivo, continuo e interrotto a seconda che lo si consideri come dolore razionale o dolore sensibile oltre che come abito e come atto14.

Mi fermo di più sul problema dell'intensità e della quantità della contrizione che è problema importante anche perché, come accadeva già dal secolo XII, si riteneva che un dolore particolarmente intenso potesse costituire in alcuni casi già una forma di satisfactio nella misura in cui si configurava come una pena proporzionata alla gravità dei peccati commessi15. Ebbe-ne, sulla quantità e intensità della contrizione, vengono poste alcune questioni ricorrenti: ci si chiede se il dolore dei peccati sia il dolore più grande, se sia più o meno grande a seconda della gravità dei peccati, se ci sia nella contrizione un eccesso di dolore16. Dietro queste questioni, c'è da una parte l'idea che il dolore per il peccato debba essere il più grande di tutti i do-lori perché il bene che il peccato ha sottratto è il più grande di tutti i beni, la salvezza eterna. Da qui gli inviti al penitente a soffrire per un peccato mortale più che per la perdita di tutti i beni terreni17, o più di quanto si soffra per la perdita del figlio unigenito o del giovane sposo18. Dall'altra parte però c'è anche la consapevolezza, confermata dall'esperienza, della debolezza degli umani affetti, spesso incapaci, dopo la perdita delle perfezione originaria, di muoversi nella giusta direzione con la giusta intensità. Spesso, lamenta Guglielmo d'Auvergne, ma si tratta di un lamento condiviso, gli uomini soffrono più della perdita dei beni temporali che di quelli spirituali, più della perdita del padre carnale che di quello spirituale19; ca-pita poi anche che alcuni siano per natura o complessione più o meno sensibili e dunque capita che per uno stesso peccato alcuni, segnati da una naturale teneritudo, provino un dolore più grande di altri, segnati invece da una altrettanto naturale duritia vel spissitudo20. Ancora una volta la chiave di volta per risolvere i problemi è la distinzione tra il dolore razionale e sensibile: senza entrare nel dettaglio delle analisi dei singoli teologi, spetta al dolore razionale e volontario che costituisce l'essenza della contrizione l'onere di essere il dolore più grande, mentre il dolore sensibile, che del resto potrebbe anche non esserci, può essere variabile per lo più per difetto ma talora anche per eccesso21.

C'è però un altro criterio che si rivela fondamentale per decidere dell'intensità e della efficacia del dolore dei peccati e cioè il legame che quel dolore ha con altri movimenti affettivi, da cui deriva, con cui convive, che a sua volta produce. La contrizione chiama insomma in causa un complesso e articolato sistema affettivo del quale costituisce il principio architettonico. Quando Abelardo inaugura il discorso sulla penitenza sostenendo che la contrizione efficace è quella che deriva dall'amore per Dio e non dal timore della pena22, com-pie una doppia operazione: impone alla penitenza un ordine degli affetti (dall'amore al dolore) e dice che quest'ordine consiste in una conversione rispetto a un ordine precedente. Per quanto la proposta abelardiana sia stata oggetto di revisioni e integrazioni che mirano a recuperare almeno in una fase iniziale un ruolo positivo al timore, ad arricchire la sequenza con l'introduzione di speranza e vergogna o a sottolineare il ruolo della grazia nel passaggio dal timore all'amore, l'idea espressa in quelle famose pagine dello Scito te ipsum che ci sia vera contrizione solo all'interno di un ordine e nel quadro di una conversione degli affetti resta un punto fermo di tutta la successiva dottrina della penitenza.

L'ordine penitenziale degli affetti non prevede solo una successione di affetti che passa dalla vergogna e dall'odio per i peccati al timore del giudizio e della pena, dal dolore per la perdita della patria celeste e per l'offesa fatta al Creatore alla triplice speranza del perdono, della grazia e della gloria per giungere infine alla contrizione, come recita la serie delle cause inductivae della contrizione secondo l'enumerazione di Raimondo di Peñafort23, quell'ordine prevede anche un equilibrio tra affetti presenti contemporaneamente. E' il caso del timore e della speranza, "le due mole che macinano il cristiano per farne pane del Cristo" come sta scritto di un passo di Pier Lombardo spesso citato24. Il problema è spiegare come due mo-vimenti che vanno in direzione contraria possano coesistere. Alessandro di Hales, uno dei teologi più attenti alle questioni psicologiche della penitenza, scrive per esempio che si può spiegare la cosa sostenendo che i due movimenti sono presenti contemporaneamente in modo diverso, l'uno come atto l'altro come abito; oppure che timore e speranza non sono due distinti movimenti ma uno solo che consiste nell'allontanarsi dal male attraverso il timore per avvicinarsi al bene attraverso la speranza, come mostrano le leggi aristoteliche della fisica secondo le quali l'allontanamento da un termine per raggiungerne un altro è un unico movimento, anche se, precisa Alessandro, ciò che vale per i movimenti dei corpi non sempre vale anche per i movimenti dello spirito25. In altri casi, come fa per esempio Guglielmo d'Auxerre, si precisa che il timore e la speranza sono uno necessario all'altra: la speranza consente al timore di non diventare disperazione, e il timore consente alla speranza di non diventare presunzione26.

Ma forse la coesistenza più clamorosa di affetti diversi che la penitenza prevede è la coesistenza di dolore e gioia che viene sempre indicata come tratto distintivo della condizione del vero penitente e che i teologi cercano di spiegare da un punto di vista psicologico. Tra le tante, si veda l'analisi di Tommaso nel commento alle Sentenze che anticipa le analisi del Trattato sulle passioni contenuto nella Summa. Contrari secondo il genere in quanto moti che vanno in senso contrario, dolore e gioia non lo sono secondo la specie a meno che non riguardino lo stesso oggetto. In tal caso non possono coesistere: il dolore per i pec-cati non può infatti coesistere con il piacere del peccato. Ma se riguardano oggetti contrari o diversi, possono essere uno causa dell'altro secondo il principio per cui la gioia della presenza implica la tristezza per l'assenza (in tal caso il dolore per il peccato può coesistere con la gioia della speranza del perdono, di cui è causa) oppure gioia e dolore possono coesistere perché uno è materia dell'altro (la gioia di provare una tristezza utile e bella, in questo caso la tristezza del peccato). Tuttavia per quanto compresenti gioia e dolore non lo possono essere con la stessa intensità ma uno lo è in modo più perfetto dell'altro perché l'anima quando è intensamente occupata in uno di questi due affetti si ritrae dall'altro e dunque, a seconda della diverse fasi della penitenza, ora sarà più intenso il dolore per i peccati ora la gioia per la speranza del perdono27.

Un caso a parte, ma troppo importante perché non vi si faccia almeno un accenno, è quello del pudor (detto a nche verecundia o erubescentia). Tutta la letteratura sulla penitenza dal XII secolo in poi è concorde nel segnalare l'importanza di questa emozione in tutte le fasi della penitenza: causa del dolore penitenziale (non c'è dolore per i peccati che non preveda la vergogna di averli commessi), durante la confessione la vergogna è, come erubescentia, segno per il sacerdote di vero pentimento costituendo nello stesso tempo, per la pena e l'umiliazione che comporta al penitente, già una forma di satisfactio, di espiazione dei peccati28. Tanto rilevante appare il suo ruolo nella penitenza, che non stupisce che Tommaso senta la necessità di ribadire la centralità del dolore rispetto al pudore ricordando che oggetto del dolore è direttamente il peccato mentre invece il pudore, che non a caso Aristotele definisce 'timore dell'infamia', si rivolge solo a uno degli effetti del peccato, e cioè l'ingloriatio29.

Gli 'impedimenti della penitenza'

Ma l'aspetto più interessante della vergogna, dal nostro punto di vista, è che, dopo essere stata considerata come un affetto che accompagna il processo sacramentale in ogni sua fase, essa viene anche individuata come uno dei cosiddetti impedimenta poenitentia. Gli impedimenta poenitentiae, che costituiscono un capitolo fisso delle somme sulla penitenza, oltre che un tema ricorrente della letteratura penitenziale in genere, sono in larga parte identificati con delle passioni. I principali impedimenta, quelli che ricorrono in tutte le enume-razioni e quelli cui viene riservata un'effettiva attenzione sono infatti la vergogna, il timore, la speranza e la disperazione30. A parte la disperazione, si tratta di movimenti dell'anima già presi in esame come propedeutici al dolore penitenziale o con esso solidali. La vergogna, prima riconosciuta come causa, se-gno e parte della vera penitenza, ora tra gli impedimenta appare appannaggio di ipocriti e superbi che rifiutano di pentirsi per non mostrarsi agli occhi degli uomini per quello che sono veramente, cioè malati, turpi e pieni di sporcizia. Il timore, prima considerato fase iniziale della penitenza, ora si trasforma nella paura di non essere capaci di affrontare la pena. La speranza, che si univa al dolore della contrizione prefigurando la gioia finale, si trasforma in una continua dilazione della penitenza perché diventa speranza di vivere a lungo, di guadagnare ricchezze che garantiscano la pace, di godere di una infinita misericordia da parte di Dio31.

Insomma, la lista degli affetti che sono impedimenti alla penitenza sembra fatta apposta per bilanciare il ruolo positivo riconosciuto agli affetti nella contrizione e nelle altre fasi del sacramento, per mettere in guardia rispetto a un uso perverso di quegli stessi affetti che si sono rivelati potenti strumenti pe-nitenziali, per prendere insomma in parte le distanze da una concezione troppo passionale della penitenza. La lista degli impedimenta ricorda che gli affetti non sono buoni e salvifici in quanto tali ma a seconda dell'uso che ne viene fatto, della direzione verso la quale vengono rivolti, dell'intenzione che li muove, dell'ordine in cui si succedono.

Sullo sfondo di questo atteggiamento ambivalente nei confronti degli affetti, nello stesso tempo impedimenti e strumenti di penitenza, si riconosce la posizione che secoli prima Agostino aveva assunto nei confronti dell'affettività nelle pagine della Città di Dio. I cristiani, sosteneva Agostino in polemica con l'ideale stoico dell'apatia, non devono avere paura dei loro affetti, devono soffrire, amare, temere, deside-rare, sperare perché, sul modello del Cristo, solo attraverso le loro paure, le loro speranze, i loro desideri e soprattutto i loro dolori si salveranno. E tuttavia, ammoniva Agostino, quegli affetti per essere strumenti di salvezza dovranno essere mossi dall'amore per Dio e non dall'amore di sé altrimenti resteranno perturbazioni di un'anima decaduta in bilico tra la debolezza e il peccato32. La dottrina della penitenza, nella misura in cui si presenta come un dispositivo in grado di 'ordinare' e 'convertire' le passioni, si muove all'interno del quadro tracciato da Agostino: indica le strade per un buon uso della passioni nelle diverse fasi del sacramento e nello stesso tempo si preoccupa di stabilire i confini al di là dei quali quel buon uso si trasfor-ma nel suo contrario.

Passioni e ordine dei peccati

Il peso del paradigma agostiniano si avverte nettamente anche nel terzo nucleo attorno al quale si raccoglie la rifles-sione sulle emozioni penitenziali, quello relativo all'ordine dei peccati, dove le emozioni sono utilizzate come criterio di individuazione e classificazione delle colpe. In realtà si tratta di casi molto rari33. Anzi, a mia conoscenza, c'è un unico caso significativo, lo Specchio de' peccati del domenicano Domenico Cavalca, dato che gli altri sono costituiti da due testi di incerta attribuzione e soprattutto di scarsa tradizione (un Confessio-nale attribuito al francescano Marchesino da Reggio e il Directorium confitendi del canonista Antonio da Budrio34) cui si potrebbero aggiungere, anche se non si tratta di vere e proprie classificazioni dei peccati, parti delle somme di Astesano da Asti e di Antonino da Firenze, che all'altezza dei capitoli sui peccati riportano un compendio del trattato di Tommaso sulle passioni35.

Lo Specchio de' peccati è un testo scritto nel 1333 in volga-re per un gruppo di laici devoti, probabilmente riuniti in una confraternita, nel quale Cavalca propone una classificazione dei peccati, molto articolata e dettagliata, a partire da sei mo-vimenti o affetti del cuore, che sono nell'ordine: amore, odio, dolore, gaudio, timore, speranza36. L'interesse di questo testo e la novità che rappresenta non sta tanto nella quantità e nella qualità dei peccati individuati, che sono moltissimi ma che sono gli stessi individuati da altre classificazione più consuete, come il decalogo e il settenario dei vizi, ma proprio nell'impiego di uno schema classificatorio come quello dei movimenti del cuore che oltre a fornire una mappa completa dei peccati dà conto anche della loro dinamica psicologica, costituendo così al contempo una tassonomia, un'eziologia e una terapeutica della colpa. E in effetti, per ognuno dei sei affetti, Cavalca non si limita a indicare tutti i peccati che derivano dal suo uso perverso ma segnala anche come quello stesso affetto possa essere convertito alla virtù indicando, agostinianamente, nell'amore ordinato l'affetto che può rendere a loro volta ordinati tutti gli altri affetti37.

Non è il caso di entrare qui nel dettaglio di un'analisi che spesso è molto ricca proprio a livello psicologico soprattutto là dove mostra la complessa dinamica di affetti uniti tra loro, nel bene o nel male, da rapporti di solidarietà, opposizione, reciproca generazione. In realtà forse la riflessione più interessante che questo testo sollecita nasce proprio dalla sua eccezionalità e ci consente una prima parziale e provvisoria riflessione su tutto il materiale presentato. Il mancato uso, Specchio de' peccati a parte, dello schema delle passioni, nel momento in cui si tratta di mostrare ai penitenti un modo per ricordare e ordinare i loro peccati rientra in un progressivo disinteresse nei confronti della dimensione psicologica del peccato a livello pastorale, come testimonia anche la vicenda del settenario dei vizi capitali che, scelto all'origine perché capace di risalire alle cause interiori del peccato, perde così il passare del tempo il suo carattere genealogico per diventare un capiente contenitore di peccati dove quelle che prima erano filiazioni diventano parti, specie e sottospecie in cui far rientrare i peccati38. L'interesse per la psicologia del peccato, e per le passioni, è invece molto più presente nei testi dei teologi come si è visto anche dalla documentazione che ho presentato. È come se, nel momento in cui ci si rivolge direttamente al penitente lo spessore psicologico delle dottrine sulla penitenza venisse meno e si impoverisse sclerotizzandosi in tassonomie. Come se le riflessioni dei teologi non si traducessero o si traducessero in misura limitata in una pedagogia degli affetti.

Credo che una prima e fondamentale spiegazione di questa distanza tra il piano della dottrina teologica e quello dell'intervento pastorale vada prima di tutto cercata e trovata nella diversità dei generi letterari cui appartengono i testi che ospitano le varie classificazioni dei peccati. Spesso si tratta di opere brevi, di facile consultazione, ausili per la memoria del penitente e del sacerdote più che effettive occasioni di autocoscienza. Probabilmente quando si ci sposta dai testi per la confessione a opere di più largo respiro, come è lo Specchio cavalchiano, l'interesse per la psicologia della colpa e della penitenza ritorna in primo piano.

Inoltre bisogna tener conto che le conoscenze e l'impegno che la disciplina dei movimenti passionali richiedeva erano abbastanza impegnativi, forse troppo impegnativi, per tutti i fedeli che avevano l'obbligo di accostarsi al sacramento una volta all'anno e ai quali non a caso a partire da un certo momento viene richiesta una forma sempre meno compiuta di contrizione. Se a tutti era proponibile una pedagogia della colpa non tutti erano in grado di procedere a un lavoro di autoanalisi che portasse a conoscere e a convertire tutti i movimenti del loro cuore. Non a caso lo Specchio del Cavalca è rivolto a un gruppo particolare di laici, persone devote già in possesso degli elementi dottrinali di base che sentivano il bisogno di partecipare più intensamente alla vita religiosa, persone che in qualche modo si ponevano il problema della perfezione spirituale39. Alle quali non a caso Cavalca propone un modello di uso delle passioni molto vicino a quello messo a punto in ambito monastico da cistercensi e vittorini.

Tuttavia, se pure con i problemi e le limitazioni che ho messo in luce, credo che le conoscenze relative alle dinamiche emozionali che la letteratura sulla penitenza ha raggiunto, unite ai modelli che ha proposto e alle pratiche affettive che ha imposto, abbiano costituito per la cultura occidentale un patrimonio, direi quasi un paradigma sentimentale, cui da si è attinto per secoli anche in ambiti non religiosi.

Notas

* Questo studio è stato presentato al Simposio "La penitenza tra I e II millennio", organizzato dalla Penitenzieria Apostolica il 4 e 5 novembre 2010, i cui Atti sono in corso di stampa. Ringrazio il Peni-tenziere maggiore e gli organizzatori del Simposio di avermi concesso di pubblicare l'intervento in questa sede.

1 GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, in Opera Omnia, I, Orléans-Parigi, 1674, p. 482: "Nihil te magis movere debet,         [ Links ] vel potest, si ea uti volueris, quam ipsa privatio motuum isto-rum, sive immobilitas: nihil enim magis timendum est, quam defectus timoris, sive intimorabilitas, et nihil enim magis erubescendum, quam impudentia, quia nihil est turpius. Sic nihil magis dolendum, quam ipse stupor mentis, membrorumque spiritualium insensibilitas, eo quod nihil ea mortalius, nihil restaurazioni, seu reparationi amisso-rum honorum spiritualium repugnantius. Sic nihil magis irascendum, quam ipsa inirascibilitas [...] Et juxta hos modos, et vias facile est prosequi de aliis". Sul testo di Guglielmo d'Auvergne e in generale sulla sua dottrina della penitenza, cfr. P. ANCIAUX, Le sacrement de pénitence chez Guillaume d'Auvergne, "Ephemerides Theologicae Lovanienses", 24 (1948), 98-118; L. SMITH, "William of Auvergne and Confession", in P. Biller e A.J. Minnis (a cura di), Handling Sin: Confessión in the Middle Ages, York, 1998, pp. 95-107; C. CASA-GRANDE, "Guglielmo d'Auvergne e il buon uso delle passioni nella penitenza", in F. Morenzoni e J. Y. Tilliette (a cura di), Autour de Guillaume d'Auvergne (+1249), Turnhout, Brepols, 2005, pp. 189-201. 2 Il dibattito è stato innescato dal libro di Mary Mansfield sulle forme della penitenza nel secolo XIII (M. MANSFIELD, The Humi-liation of the Sinners. Public Penance in Thirteenth-Century France, Ithaca, 1995), che parla, per la Francia del secolo XIII, di un sostan-ziale insuccesso della penitenza privata a fronte di una ampia persistenza della penitenza pubblica arrivando così mettere in discussione la tradizionale applicazione alla storia della penitenza del secolo XIII delle categorie di pubblico/privato, interiore/esteriore, sociale/indi-viduale. Per un interessante panorama degli studi sulla penitenza da parte di autori che, come si scrive nell'introduzione, rifiutano la "narrative of an emerging interiority, or an historical constructed individualism", vedi il volume di A. FIREY (a cura di), A New History of Penance, Leiden-Boston, 2008. All'interno di questo volume, per un'articolata analisi degli studi storici sulla penitenza, dal medioevo fino ai giorni nostri, vedi R. E. MC LAUGHLIN, "Truth, Tradition and History: the Historiography of High/Late Medieval and Early Modern Penance", in ibidem, pp. 19-95, che mostra come i giudizi che si sono succeduti sulla natura del sacramento della penitenza, tra cui anche quelli relativi alla cosiddetta emergenza dell'interiorità, possano in parte essere ricondotti alle opzioni teologiche e confessio-nali dei diversi studiosi; si veda anche per il periodo alto medievale, R. MEENS, "The Historiography of Early Medieval Penance", in ibidem, pp. 73-95.

3 Suggestioni e indicazioni in questa direzione si possono trovare in P. ANCIAUX, La Théologie du Sacrement de Pénitence au XIIe siècle, Louvain-Gembloux, 1949, pp. 154-164; J.-C. PAYEN, Le motif du repentir dans la littérature française médiévale, Genève, 1967 e "La pénitence dans le contexte culturel des XIIe et XIIIe siècles", Revue des Sciences philosophiques et théologiques, 61 (1977), 399-428; più recentemente nell'ambito di un rinnovato interesse per la storia delle emozioni, P. NAGY, Le don des larmes au Moyen Âge, Paris, 2000; E. COHEN, The Modulated Scream. Pain in Medieval Culture, Chicago-London, 2009, in particolare il capitolo intitolato "Penitence as Pain", pp. 28-32; N. SLENCZKA, "Der endgültige Schrecken. Das Jüngste Gericht und die Angst in der Religion des Mittelalters", in A. GEROK-REITER, S. OBERMAIER, C. LAUER (a cura di), Angst und Schrecken im Mittelalter. Das Mittelalter. Perspektiven mediävi-stischer Forschung, 12 (2007), 97-112;         [ Links ] K. WAGNER, "'Cum aliquis venerit ad sacerdotem': Penitential Experience in the Central Middle-

4 Vedi, per esempio, ancora GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, p. 462: "Dicimus ergo quia contritio est confractio et comminutio et quasi pulverem redactio veteris hominis".

5 RAIMONDO di PEÑAFORT, Summa de paenitentia (ed. X. Ochoa-A. Diez), Roma, 1976, col. 803; ENRICO DA SUSA, Summa aurea, liber V "De Penitentiis et remissionibus", Venezia, 1574, col. 1747. In seguito il carattere intenzionale della contrizione è ulteriormente rafforzato dall'introduzione dell'avverbio volontarie ("dolor pro peccatis volontarie assumptus") come accade per esempio in PS. VINCENZO di BEAUVAIS, Speculum morale, Douais, 1624, col. 1425 ó in ANGELO CARLETTI da CHIVASSO, Summa angelica de casibus conscientiae, Strasbourg, 1513, f. 54 rb.

6 TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quartum librum Sententiarum, d. 17, q. 2, a. 1, qc. 2 ad 1m, in Opera Omnia, VIIB, Parma, 1858, p. 783: "Ad primum ergo dicendum, quod in contritione est duplex dolor de peccato. Unus in parte sensitiva, qui passio est; et hic non est essentialiter contritio, prout est actus virtutis, sed magis effectus ipsius [...]. Alius dolor est in voluntate, qui nihil aliud est quam displicentia alicujus mali, secundum quod affectus voluntatis nominatur per nomina passionum, ut in 3 Lib., dist. 26, qu. 1, art. 5, in corp. , dictum est; et sic contritio est dolor per essentiam, et est actus virtutis poenitentiae"; BONAVENTURA da BAGNOREGIO, In IV librum Sententiarum, d. XVI, p. I, a. I, q. I, in Opera Omnia, t. IV, ed. PP. Collegii Sancti Bonaventurae, Quaracchi, 1889, pp. 383-384: "dolor dicitur dupliciter: uno modo ipse dissensus voluntatis, alio modo passio resultans in sentientem ex illo dissensu, per quam prorumpit homo in lachrymas; et ille dissensus est de essentia contritionis, sed illa passio est effectus eius"; in un altro passaggio Bonaventura distingue nella contrizione un moto della volontà, dolor per essentiam, da una passio che è invece definita come dolor per concomitantiam (Ivi, d. XVI, p. I, a. I, q. II, p. 386). Vedi anche ALBERTO MAGNO, De sacramentis (ed.A. Ohlmeyer), in Opera Omnia, t. XXVI, Münster, 1958, p. 81: "dolor sensibilis non est essentialis contritioni, sed est si-gnum eius". Sulla stessa linea, qualche decennio prima, Alessandro di Hales aveva sostenuto che nella penitenza solo il dolore razionale è sempre necessario, cfr. ALESSANDRO di HALES, Glossa in quatuor libros Sententiarum, IV, d. XIV, 11, vol. IV, ed. PP. Collegii Sancti Bonaventurae, Quaracchi, 1957, p. 217: "Semper ergo requiritur dolor rationalis sive spiritualis, aliquando etiam dolor sensibilis".

7 Cfr. A. VANNESTE, "La théologie de la pénitence chez quel-ques maîtres parisiens de la première moitié du XIII siècle", Ephe-merides Theologicae Lovanienses, 28 (1952), 24-58, in particolare le pp. 38-40 (citati testi di Pietro di Poitiers, Pietro Cantore, Stefano Langton, Guy d'Orchelles, Guglielmo d'Auxerre, l'anonimo autore di Douai 434, Ugo di San Caro e Alessandro di Hales).

8 ROBERTO di FLAMBOROUGH, Liber poenitentialis, (ed. J. J. J. Firth), Toronto, 1971, p. 59: "Sacerdos: Singillatim ista tibi ex-ponam. De universis peccatis tuis doles tu et de singulis? Poenitens: Doleo"

9 TOMMASO di CHOBHAM, Summa confessorum (ed. F. Broom-field), Louvain-Paris, 1968, p. 321: "Et semper se doleat peccasse qui numquam debuit peccare"; De vera et falsa poenitentia, Patrologia latina, 40, col. 1124: "Hinc semper doleat, et de dolore gaudeat, et de doloris poenitentia, si contigerit, semper doleat. Et non sit satis quod doleat, sed ex fide doleat, et non semper doluisse doleat". Vedi anche RAIMONDO di PEÑAFORT, Summa de paenitentia, col. 807: "qualis debeat esse contritio, scilicet, quod sit universalis et continua".

10 RAIMONDO di PEÑAFORT, Summa de paenitentia, coll. 803-804: "Iste dolor debet esse triplex, ut ait Bernardus: acer, acrior, acerrirrimus. Acer, quia offendimus Dominum et Creatorem omnium.

Acrior, quia Patrem nostrum caelestem, qui nos pascit multipliciter. Acerrimus, quia Redemptorem nostrum, qui nos liberavit proprio sanguine a vinculis peccatorum, crudelitate daemonum et acerbitate geenna". Vedi anche ENRICO da SUSA, Summa aurea, liber V, De Penitentiis et remissionibus, col. 1747.

11 Sull'origine del concetto di attrizione, ANCIAUX, La Théologie du Sacrement de Pénitence..., pp. 473-480; sulla sua evoluzione nei secoli XIII e XIV, vedi T. N. TENTLER, Sin and Confessión on the Eve of the Reformation, Princeton, 1970, pp. 250-273.

12 GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, pp. 466-67: "Dico ergo quod attritio ad contritionem sic est sicut vul-neratio ad occisionem; et gratia preveniens ac preparans ad gratiam gratum facientem sicut calefactio ad arsionem; et sicut illuminatio, que est umbra, ad irradiationem; hoc est, sicut lumen crepuscoli ad radium; et motus huius gratie ad motus illius sunt sicut aratio, rigatio et seminatio ad vivificationem semini et exortum; et sicut mollificatio cere ad eiusdem sigillationem; et sicut calefactio ac resolutio metalli ad eiusdem formam imaginis seu modulum et infusionem; et sicut tersio et ablutio et oppositio speculi ad forme in eo apparitionem" (si tenga presente che per Guglielmo la minore efficacia dell'attrizione è dovuto all'assenza della grazia santificante presente invece succes-sivamente nel momento della contrizione).

13 Il problema è come sia possibile provare dolore per qualcosa che non è presente. Guglielmo d'Auxerre spiega che il senso spirituale, cui compete il dolore spirituale della contrizione, non ha bisogno della presenza della cosa dolorosa per essere attivato e arriva a sostenere che è più facile sentire il fetore del peccato quando il peccato è ormai compiuto e affidato alla memoria, piuttosto che nel momento in cui viene compiuto: "sensus spiritualis non exigit rem presentem actualiter; sed sufficit quod presens memorie. Unde cum peccatum est in memoria, potest anima dolere de peccato preterito. Memoria enim testis est in iu-dicio spirituali, sicut dictum est supra, et etiam melius potest dolere de peccato preterito quam de peccato presenti, quia melius sentit fetorem peccati, quando dimissum est, quam quando dimissum non est, quia, quando dimissum est, tunc anima habet odoratum spiritualem bene dispositum, ita quod potest sentire fetorem peccati, et per hoc abhorrere peccatum. Sed quando est in peccato, tunc non sentit fetorem peccati. Demones enim abstulerunt ei odoratum spiritualem [...]" (GUGLIELMO d'AUXERRE, Summa aurea, l. IV, tr. IX, cap. I "Quid sit contritio" (ed. J. Ribaillier), Paris-Grottaferrata, 1985, p. 227); Tommaso ricorre a diverse spiegazioni, da un lato ricorda che se il peccato non è presente, lo sono tuttavia i suoi effetti, dall'altra richiama la capacità del pec-cato di restare presente nella memoria: "Ad primum ergo dicendum, quod dolor non est nisi de eo quod aliquo modo praesens est. Peccatum autem praeteritum, etsi non sit praesens, est tamen praesens quantum ad aliquem effectum ejus, vel dispositionem ad peccandum, vel reatum aut maculam, vel etiam damnum temporis, quod aliquo modo non potest recuperari etiam poenitentia peracta; vel etiam amissionem dignitatis innocentiae, ad quam nunquam redire potest, per quam dicere potuisset: non reprehendit me cor meum in omni vita mea; Job 27,6. Vel dicendum, quod peccatum praeteritum dolorem excitat, inquantum praesentialiter in memoria manet; sicut etiam memorando praeterita tristia, sic eis afficimur ac si praesentia essent" (TOMMASO d'AQUI-NO, Commentum in quartum librum Sententiarum, d. 17 q. 2 a. 1 qc. 1 ad 1m, p. 783).

14 Mi limito a riportare i titoli di alcune questioni relative a questo tema che danno l'idea dei problemi affrontati: GUGLIELMO d'AUXERRE, Summa aurea, l. IV, tr. IX, cap. V "De continuitate contritionis" e cap. VI "Utrum motus contritionis sit successivus", pp. 235-242; TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quartum librum Sententiarum, d. 17 q. 2 a. 4 Utrum tota haec vita sit contrictionis tempus, pp. 789-790; BONAVENTURA da BAGNOREGIO, In IV librum Sententiarum, d. XVI, p. I, a. III "De contritione quoad durationem", q. 1 "Utrum contritio sit motus instantaneus, an successivus", q. 2 "Utrum homo debat semper conteri", pp. 390-393.

15 Vedi per esempio GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, p. 468: "ipsa contritio interdum ipsa satisfactio est, ultra quam nihil requirit Deus a penitente pro omnibus peccatis atque delictis suis".

16 Per il secolo XII, vedi ANCIAUX, La Théologie du Sacrement de Pénitence..., pp. 258-261. Per il secolo successivo, vedi per esem-pio GUGLIELMO d'AUXERRE, Summa aurea, l. IV, tr. IX, cap. IV "De quantitate contritionis", pp. 234-235; TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quartum librum Sententiarum, d. 17, q. 2, a. 3 "Utrum contritio sit maior dolor qui esse possit in natura", pp. 787-789; BO-NAVENTURA da BAGNOREGIO, In IV librum Sententiarum, d. XVI, p. I, a. I, q. I, "De contritione quoad quantitatem", q. 1, "Utrum necesse sit dolorem contritionis esse maximum", q. 2, "Utrum possi-bile sit, in dolore contritionis, esse excessum", pp. 386-390.

17 Come fa per esempio ROBERTO di FLAMBOROUGH, Liber poenitentialis, p. 61: "Poenitens: Quantus dolor sufficit ad hoc? Sacerdos: De quovis minimo mortali plus debes dolere quam si omnia amisisses quae citra Deum amitti possunt. Et probo: Nonne quovis minimo mortali amisisti Deum, et deus omnibus aliis praestantior est? Ergo plus debes dolere de Dei amissione quam aliorum omnium".

18 Questi due tipi di dolore, che costituiscono i criteri tradizionali di misura del dolore penitenziale sono entrambi di origine scritturale: Ier. 6,26: "Luctum unigeniti fac tibi planctum amarum" e Ioel. 1,8: "Plange quasi virgo accincta sacco super virum pubertatis suae".

19 GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, p. 468: "Quod autem quaeritur de dolore contritionis, et aliis motibus quos nominavimus, quia in paucis poenitentibus videntur esse fortes, validique et potentes ad conterendum veterem hominem; in multis vero adeo debiles, ut pene insensibiles videantur, videntur etiam perversi et ridiculosi: tantus enim dolor est de amissione modicae rei tempora-lis, adeoque sensibilis, ut sit pene inconsolabilis; de amissione Dei et aeternae haereditatis, praeterquam in paucissimis rarisque poeniten-tibus, pene insensibilis est dolor. Amplius. Pro amissione patris car-nalis, aur fratris, quis non videat dolores inconsolabiles, et ejulatus, et planctus intolerabiles hominum? Pro amissione patris spiritualis Dei, et fratris spiritualis, videlicet ipsius, quam levis sit dolor, quam rarae lachrymae, quam facile arescentes?".

20 Il termine teneritudo viene dal Cantore, mentre i termini duritia e spissitudo sono ricavati da Guglielmo d'Auvergne: PIETRO CANTORE, Summa de sacramentis et animae consiliis (ed. J.-A. Dugauquier), vol. II, Louvain-Lille, 1957, pp. 70-71: "Dicimus quod bene potest esse maior contritio in uno quam in alio [...] illa maioritas contritionis potest esse uel ex caritate, uel ex pia ignorantia, sicut di-citur de beata Paula quod minora peccata plangebat sicut maiora [...] vel ex naturali quadam teneritudine qua accidit aliquos magis moveri et citius quam alios ad lacrimas vel ad compassionem aliquam, uel compuncionem"; GUGLIELMO d'AUVERGNE, De sacramento poenitentiae, p. 465: "quidam enim sunt duri, et ut ita dicam, spissi cordis, ut magno vulnere doloris percussi ad modicum illud sentiunt".

21 Alessandro di Hales ammette che ci possa essere dolore spiri-tuale senza dolore sensibile anche se per lo più ciò non accade (ALES-SANDRO di HALES, Glossa in quatuor libros Sententiarum, I V, d. XIV, 11e, p. 218: "contingit dolorem spiritualem esse, non coniuncto sensibili; in pluribus tamen coniuncti sunt"). Tommaso ritiene il dolo-re volontario della contrizione superiore agli altri dolori in quanto do-lore per il peccato, cioè per qualcosa che è massimamente contrario a ciò che più si ama, il fine ultimo; il dolore sensibile, in quanto causato dal primo per ridondanza, non importa se subìta o voluta, della parte superiore dell'anima su quella inferiore, non può essere il dolore più grande in quanto la facoltà sensitiva è mossa con più veemenza dai suoi propri oggetti, percepiti attraverso i sensi, che dalla ridondanza delle facoltà superiori: "dolor talis [qui in voluntate est] in contritione excedit alios dolores; quia quantum aliquid placet, tantum contrarium ejus displicet: finis autem super omnia placet, cum omnia propter ip-sum desiderentur; et ideo peccatum quod a fine ultimo avertit, super omnia displicere debet. Alius dolor est in parte sensitiva, qui causatur ex primo dolore, vel ex necessitate naturae, secundum quod vires inferiores sequuntur motum superiorum; vel ex electione, secundum quod homo poenitens in seipso voluntarie excitatur ut de peccatis doleat; et neutro modo oportet quod sit maximus dolorum: quia vires inferiores vehementius moventur ab objectis propriis, quam ex redundantia superiorum virium" (TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quar-tum librum Sententiarum, l. 4, d. 17, q. 2, a. 3 qc. 1 co., pp. 787-788). Bonaventura ritiene che nella contrizione il dolore sensibile non deve essere massimo mentre il dolore razionale deve essere il più grande non in assoluto ma in relazione agli altri dolori (BONAVENTURA da BAGNOREGIO, In IV librum Sententiarum, d. XVI, p. I, a. II, q. I "Utrum necesse sit, dolorem contritionis esse maximum", pp. 387-389). Sia Tommaso (Commentum in quartum librum Sententiarum, l. 4 d. 17 q. 2 a. 3 qc. 2 co, p. 788) sia Bonaventura (In IV librum Sententiarum, d. XVI, p. I, a. II, q. II, "Utrum possibile sit, in dolore contritionis esse excessum", pp. 389-390) ritengono poi che il dolore razionale della contrizione non può mai essere eccessivo mentre può esserlo il dolore sensibile, il quale in tal caso deve essere moderato. 22 ABELARDO, Scito te ipsum (ed. R. M. Ilgner), Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis 190, Turnhout, 2001, p. 58: "Et hec quidem reuera fructuosa est penitencia peccati, cum hic dolor atque contricio animi ex amore dei, quem tam benignum attendimus, pocius quam ex timore penarum procedit".

23 RAIMONDO DI PEÑAFORT, Summa de paenitentia, col. 804: "Causae inductivae sunt sex: cogitatio, et ex ea pudor de peccatis commissis; detestatio vilitatis ipsius peccati; timor de die iudicii et de poena gehennae; dolor de amissione caelestis patriae et multiplici offensa Creatoris; et spes triplex, scilicet: veniae, gratiae et gloriae"; con qualche differenza, la sequenza affettiva si ripete in ENRICO da SUSA, Summa aurea, liber V "De Penitentiis et remissionibus", col. 1748.

24 PIER LOMBARDO, Commentarium in Psalmos, Patrologia latina, 191, col. 803: "Haec sunt duae molae, inter quas molitur Chris-tianus, ut fiat panis Christi, scilicet spes et timor".

25 ALESSANDRO di HALES, Glossa in quatuor libros Senten-tiarum, IV, d. XVIII, 1 k, pp. 273-274: "Ad illud quod obicitur, utrum simul moveatur, motu spei et timoris, dicendum quod non oportet, sed quod unus sit in actu et alter in habitu. Nisi velimus hoc modo dicere: cum est recessus ab uno termine et accessus ad alterum, est unus motus; recessus autem a malo per timorem fit accessus ad bonum per spem. Sed non est omnino simile in motibus corporalibus et spiritualibus".

26 GUGLIELMO d'AUXERRE, Summa aurea, IV, tr. IX, cap. V, p. 237: "Si enim semper timeret, caderet in desperationem. Si semper speraret, posset elevari in presumptionem".

27 TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quartum librum Sen-tentiarum, lib. 4 d. 14 q. 1 a. 4 qc. 2 co., pp. 693-694: "Ad secundam quaestionem dicendum, quod gaudium et tristitia secundum genus sunt contraria; non tamen quodlibet gaudium cuilibet tristitiae opponitur, sed ei quae est de eodem. Si autem de contrariis sunt vel de diversis, unum potest esse causa alterius, vel materiale ad ipsum; qui enim de praesentia gaudet, eo ipso sequitur quod de absentia tristatur. Similiter etiam quando de aliquo tristari est nobis utile vel decens, tristitia potest esse materia gaudii. Si ergo gaudium et tristitia directe contraria accipiantur, sic non possunt simul esse in eodem secundum ídem; si autem sint de diversis vel contrariis, sic quidem quantum ad causam suam possunt simul esse, quia potest esse voluntas de uno et voluntas de altero; et similiter si unum sit ratio alterius. Sed quantum ad sensum qui requiritur in utroque, quia gaudium non est sine perceptione convenientis, neque tristitia sine perceptione nocivi, impossibile est quod utrumque simul intense insit: quia anima quan-do intense occupatur circa unum, retrahitur ab altero; sed imperfecte possunt esse simul; ita tamen quod unum nunc sit perfectius, et aliud postmodum. Dolor autem qui est in poenitentia, est de peccato commis-so; unde simul cum hoc non potest esse gaudium de eodem; sed potest esse gaudium de spe veniae, quam per dolorem concipit; vel etiam hoc ipso quod in exhibendo dolorem pro peccatis commissis, facit quod debet; et ideo detestatio peccati commissi, quae est causa doloris, et voluntas detestandi, quae est causa gaudii, sunt simul; volens enim detestatur. Et quia unum est ratio alterius, ideo anima ad utrum-que converti potest simul, inquantum ex eis quodammodo fit unum. Quando autem ex aliquibus duobus fit unum, unum est ut materiale, et alterum ut formale; et ideo anima ad unum illorum convertitur per prius, et ad alterum per posterius; et propter hoc non potest inesse utrumque secundum sui completam rationem, sed quandoque unum, quandoque alterum. Quando enim plene convertitur ad spem veniae vel ad decentiam doloris, tunc gaudium est principaliter, et dolor de peccato ex consequenti: quando autem principaliter convertitur ad peccatum commissum, tunc est e contrario".

28 Vedi per esempio De vera et falsa poenitentia, col. 1122: "Laborat enim mens patiendo erubescentiam. Et quoniam verecundia magna est poena. Qui erubescit pro Christo, fit dignus misericordia"; TOMMASO di CHOBHAM, Summa confessorum, p. 203: "Erubescentia quam habet confitens est magna pars satisfactionis". Sul ruolo del-la verecundia nella penitenza, cfr.B. SÈRE, ""Adam, ubi es?" Honte et pénitence dans l'exégèse de Genèse 3 (XIIIe-XVe siècle)". Molti contributi inoltre nel recente convegno La honte entre peine et pénitence. Les usages sociaux de la honte au Moyen Âge et aux débuts de l'époque moderne (Parigi, 21-23 ottobre 2010), organizzato da Bénédicte Sère et Joerg Wettlaufer, di cui si attendono gli atti. Segnalo infine la tesi di dottorato in corso da parte di Tommaso MARTINO su I lessici e le retoriche della vergogna nella riflessione della prima generazione domenicana (1230-1277), Dottorato di ricerca in Storia medievale, Università di Firenze.

29 TOMMASO d'AQUINO, Commentum in quartum librum Sententiarum, d. 17 q. 2 a. 1 qc. 1 ad 4m, p. 783: "pudor respicit effectum peccati, qui est ingloriatio, quia verecundia secundum philosophum est timor ingloriationis; sed dolor directe ipsum peccatum respicit; et ideo contritio, quae ad deletionem peccati ordinatur, magis dicitur dolor quam aliquid supra dictorum". Per il riferimento aristotelico, vedi Ethica Nicomachea, IV, 1128b.

30 Tre esempi tra XIII e XIV secolo: RAIMONDO di PEÑAFORT, Summa de paenitentia, coll. 877-882, che enumera quattro princi-pali impedimenti, pudor, timor, spes e desperatio, cui si aggiungono levigatio propriae culpae, consideratio culpae maiorum, multitudinis deliquentium consideratio, consuetudo peccandi, superbia cordis, de-lectatio peccati; UGO di STRASBURGO, Compendium theologicae ve-ritatis, in S. BONAVENTURA, Opera Omnia, vol. VII, Lione, 1668, p. 780, che elenca pusillanimitas aggrediendi, pudor confitendi, horror satisfaciendi, delectatio peccandi, spes diu vivendi, desperatio, timor, consuetudo peccandi, confidentia in Dei misericordia; PS. VINCENZO di BEAUVAIS, Speculum morale, coll. 1458-1459: peccatorum infidelitas, mala societas, malus pudor, longe vite confidentia, negligentia, ignorantia, terrena occupatio, presumptio, desperatio, timor malus, perversus amor, infirmitas, mors subita.

31 RAIMONDO di PEÑAFORT, Summa de paenitentia, coll. 877-878: "Pudor scilicet confitendi. Hic quidem pudor retrahit multos a paenitentia, sed praecipue hypocritas et superbos, qui vellent appa-rere hominibus sani et pulchri, cum tamen sint infirmi et turpissimi; exterius ornati et picti, cum sint intus spurcitia repleti. [...] Timor scilicet satisfaciendi. Cogitant enim quod non possent ferre poenam, quae eis imponeretur [...] Spes, scilicet, triplex: diu vivendi, acquirendi temporales divitias, in quibus quiescat, et de nimia Dei misericordia, quae neminem vult damnare".

32 AGOSTINO, De civitate Dei, IX, 4-5 e XIV, 5-9 (ed. B. Dombart -A. Kalb), Corpus Christianorum. Series Latina 48, Turnhout, 1955, pp. 251-255,419-430. Cfr. C. CASAGRANDE, "Per una storia delle passioni in Occidente. Il Medioevo cristiano (De civ. Dei, IX, 4-5: XIV, 5-9)", Península. Revista de Estudos Ibéricos, 3 (2006), 11-18.

33 In generale, sulle classificazioni dei peccati, vedi R. RUSCO-NI, "'Ordinate confiteri'. La confessione dei peccati nelle 'summae de casibus ' e nei manuali per i confessori", in L'Aveu. Antiquité et Moyen Âge, Roma, 1986, pp. 297-313 (ora in L'ordine dei peccati. La confessione tra medioevo ed età moderna, Bologna, 2002, pp. 83-103) e C. CASAGRANDE, "La moltiplicazione dei peccati. I cataloghi dei peccati nella letteratura pastorale dei secoli XIII-XV", in La peste nera: dati di una realtà ed elementi di una interpretazione. Atti del XXX Convegno storico internazionale, Todi 10-13 ottobre 1993, Spo-leto, 1994, pp. 253-284.

34 MARCHESINO da REGGIO (?), Confessionale, in S. BONA-VENTURA, Opera, vol. VII, Roma, 1596, pp. 48-70 che, tra le varie liste di peccati con cui interrogare il penitente, ne propone una costituita dai cinque sensi e dalle sette affezioni (spes, timor, gaudium, moeror, amor, pudor, odium) e ANTONIO da BUDRIO, Directorium confitendi, Bibl. Universitaria, Ms. Aldini 70, ff. 1r-34r, dove è prevista una classificazione dei peccati fondata sulle quattro passioni dell'anima (spes, gaudium, timor, dolor).

35 ASTESANO da ASTI, Summa de casibus, II "De virtutibus et vitiis", cap. 32 "De passionibus anime", Venezia, 1478 e ANTONINO da FIRENZE, Summa theologica, I, VI "De causis et passionibus peccatorum", Venezia, 1481.

36 Domenico CAVALCA, Specchio de' peccati (ed. F. Del Furia), Firenze, 1828.         [ Links ]

37 Cfr. C. CASAGRANDE, "'Motions of the Heart' ans Sins. The 'Specchio de' peccati' by Domenico Cavalca, OP", in R. NEWHAUSER (a cura di), In the Garden of Evil. The Vices and Culture in the Middle Ages, Toronto, 2005, pp. 128-144; EADEM, "'Specchio di croce'. Domenico Cavalca e l'ordine degli affetti", in C. Bino e M. Gragnolati (a cura di), Il corpo passionato. Modelli e rappresentazioni medievali dell'amore divino. Comunicazioni sociali. Rivista di media, spettacolo e studi culturali, XXV n.s. (2003), 221-230 articoli ai quali si rimanda per ogni ulteriore indicazione bibliografica sul testo.

38 C. CASAGRANDE e S. VECCHIO, "La classificazione dei peccati tra settenario e decalogo (secoli XIII-XV)", Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, 5 (1994), 331-395, in particolare le pp. 367-369.

39 Molto probabilmente le 'devote persone' per cui Cavalca compone il trattato sono i laici appartenenti alla Confraternita dei Disciplinati della Croce, come indica E. BARBIERI, Domenico Cavalca volgarizzatore degli 'Atti degli Apostoli' in L. Leonardi (a cura di), La Bibbia in italiano tra medioevo e Rinascimento, Atti del Convegno internazionale Firenze, Certosa del Galluzzo 8-9 novembre 1996, Fi-renze, 1998, pp. 291-328.

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